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Carnage - Recensione - Un film dagli equilibri quasi perfetti

19/09/2011 | Recensioni | |
Carnage - Recensione - Un film dagli equilibri quasi perfetti

Quartetto di borghesi in un inferno. Quattro personaggi in uno spazio chiuso, claustrofobico, asfittico: Carnage è 79 minuti di gioco al massacro, un confronto serratissimo girato in tempo reale, senza interruzione, ambientato in un'unica location.
Due ragazzini undicenni hanno un duro scontro in un parco, uno dei due ci rimette due denti. I genitori della “vittima”, i coniugi Longstreet, invitano i genitori dell’”aggressore”, i coniugi Cowan, a casa loro per cercare di risolvere l’incidente. Penelope Longstreet (Jodie Foster) è una scrittrice liberale e attivista politica che sta scrivendo un libro sul Darfur, suo marito Michael (John C. Reilly) è un commerciante all’ingrosso di articoli per la casa. Nancy Cowan (Kate Winslet) è un’elegante operatrice di borsa, suo marito Alan (Christoph Waltz) è un avvocato. Sulle prime l’atmosfera è cordiale e tra un caffè e una fetta di torta la conversazione ha toni civili. Col passare dei minuti però, la tensione sale. Alan non fa altro che passare il tempo al cellulare per impostare la difesa di una multinazionale farmaceutica dagli effetti collaterali di un farmaco in commercio innervosendo Penelope. Poi Nancy, debole di stomaco, vomita nel mezzo del salotto mandando in rovina i preziosi libri d’arte della signora Longstreet. E la discussione sui figli degenera in uno scontro carico di rabbia e frustrazione.
Il film è la riduzione per il grande schermo dello spettacolo teatrale “The God of Carnage” (Il Dio della Carneficina) scritto dalla drammaturga, scrittrice e attrice franco-iraniana Yasmina Reza, già andato in scena a Broadway, a Parigi, in Inghilterra e anche in Italia per la regia di Roberto Andò.
L’ipocrisia strisciante e nascosta sotto l’apparenza delle buone maniere, la falsità della gentilezza, il marcio nascosto sotto la moralità di facciata, questi i temi al centro della pièce che Polanski ha saputo mantenere intatti nel passaggio sul grande schermo. E’ proprio la discussione sulla moralità a portare alla “carneficina” dialettica. Prima una coppia contro l’altra in un confronto di modi di vivere e di pensare. Poi il quartetto si scinde in due coppie opposte e complementari: le due donne diverse ma in fondo vicine nella loro solitudine e i due uomini, l’uno a prima vista l’opposto dell’altro (il brav’uomo commerciate di articoli sanitari e l’avvocato senza scrupoli), ma alla fine quasi complici tra un bicchiere di whisky e un sigaro.
Un’altra variazione sul tema della “doppia coppia” che Polanski chiude in uno spazio ristretto dopo quella di Luna di fiele (chiusa in una nave da crociera) coinvolta in un incastro fatale dove ogni rapporto a due è svelato come rapporto di potere e dove ogni apparente certezza viene infranta dolorosamente. Ancora una volta lo spazio chiuso rivela la sua potenzialità di luogo capace di scatenare conflitti, caos, pulsioni sopite. E la maschera che tutti indossano quotidianamente viene impietosamente a cadere svelando il lato più meschino della natura umana. I tulipani comprati e messi in un bel vaso al centro del salotto in occasione della visita, lanciati in aria e distrutti nella scena finale dominata da una magistrale Kate Winslet, sono la più chiara esplosione scenica del vero nucleo della drammaturgia della Reza che ha sottolineato, in una recente intervista, come in tutti i suoi lavori cerchi di mettere in luce proprio “l’animalità istintiva dell’uomo”.
Indovinato il quartetto di attori che tiene senza una caduta per tutta la durata del film, dalle due donne, i premi Oscar Kate Winslet e Jodie Foster, ai due uomini Christoph Waltz (divenuto famoso grazie all’ Oscar per Bastardi senza gloria di Tarantino) e John C. Reilly che dopo una lunga carriera di comprimario meriterebbe il  salto verso la grande notorietà.
Un affresco spiazzante sull’ipocrisia del politically correct che tira su il velo di falsità che domina il “teatrino” delle convenzioni del vivere borghese e rivela la violenza primitiva presente in ogni essere umano. E la razionalità lascia il posto al dominio assoluto delle emozioni. Come lo ha definito l’autrice della pièce, un esempio di “teatro dei nervi”. Nelle mani di Roman Polanski, un film dagli equilibri quasi perfetti.

Elena Bartoni

 


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